Descrizione
La gente passa a trovarmi in Sicilia. Me lo sento ripetere spesso: come la racconti tu, viene voglia di conoscerla. Negli anni ne ho descritto la gioia amara fino a farla diventare quasi un personaggio, di più: una persona. Con la sua lentezza elefantiaca, col suo cinismo, con l’innocenza struggente della sua natura indifesa e lussureggiante, le sue coste stupende segnate dall’abusivismo. Con il ribollire delle sue pentole che ricordano l’Etna e distribuiscono cibarie da mille e una notte nei luoghi più inaspettati. Si levano ovunque profumi di pasta di mandorle e c’è un’aria fine impregnata di gelsomino e di fritto nella sugna. In Sicilia sono passati tutti: greci, fenici, romani, normanni, francesi, spagnoli. I poeti arabi costretti ad abbandonarla la rimpiangevano nei loro versi. Mi chiedo se altri l’hanno guardata come me, che contemplo Ortigia e quasi non ci posso credere che esista un posto così. E lo stesso mi viene da pensare a Erice, a Scopello, a Cefalù, in ognuno di questi angoli dalla bellezza accecante. «Difenderò con le parole questo paesaggio», ti dici, commossa fino al midollo, desiderosa di imprimere nella memoria il calore di una mattina di primavera. Sono siciliani molti autori che hanno fatto la letteratura italiana: alcuni, come Tomasi di Lampedusa al bar Mazzara di Palermo, Vittorini al Caffé Minerva di Ortigia, Sciascia al Bar Romano di Caltanissetta, fra una pagina e l’altra gustavano granite e biscotti di mandorla. Per tutti, la Sicilia è sempre tornata, come in un sogno, nella loro prosa, che non vuol saperne di farsi dimenticare. Perché la Sicilia sembra un grande amore: anche se la lasci, sei sempre grata di averla incontrata. E queste 101 cose sono l’inizio della vertigine, è come tastare con la punta del piede un oceano caldo e tempestoso e pensare con orgoglio: «Ecco, questo l’ho fatto, nella vita».